Andrea Francolino (Bari, 1979. Vive e lavora a Milano) interviene negli ambienti di Spazio Contemporanea con opere di ampio respiro e di forte impatto visuale, ideando un percorso in due tempi, contemplativo ed esperienziale, di profondo coinvolgimento del visitatore.
È la crepa l’elemento centrale dell’indagine dell’artista: in mostra, essa è immagine ricorrente, declinata in molteplici dimensioni e verificata nella sua relazione e intervento su diversi materiali, dalla terra al cemento al vetro.
Testimonianza di un paesaggio disgregato eppur armonico, in un equilibrio delicato e alchemico dove la materia confligge con il tempo e ripensa lo spazio del vissuto, la crepa è intesa da Francolino nella sua funzione positiva e rigenerante, come segno e direzione di una nuova possibilità, di un riscatto dell’uomo e della sua storia che parte dall’interruzione e dalla rottura.
Da qui il titolo della mostra, Queste lunghe soglie mutevoli (these long shifting thresholds), ispirato da un verso dei Four Poems di Samuel Beckett: la composizione poetica, drammatica dichiarazione di un’impossibile risoluzione tra la ciclicità della vita e la sua indistricabile incomunicabilità, rappresenta in un certo senso quella visione negativa e apocalittica della storia e dell’uomo restituita nel secondo dopoguerra da molta letteratura e arte: Francolino parte da qui e, attraverso la crepa, emerge la storia dei nostri tempi. Eleggendo la crepa a metafora di un nuovo, possibile percorso dell’uomo nel mondo, dove la frattura è stimolo e immagine di una potenziale rinascita, di una fertile ricucitura dell’icona alla parola, nella rimessa in gioco della vita, fosse solo per la sua fatale verità di dover esser vissuta. In una ciclicità che lo spettatore proverà ad attraversare e ricomporre, alla ricerca di una nuova armonia: nata, anche, dal caso e dal caos.
In quanto tradizionalmente immagine della non linearità e dell’interruzione dell’ordine dato e precostituito, la crepa diventa anche spia interpretativa dell’intera indagine di Francolino: l’artista da sempre agisce in quell’area instabile e imprendibile che lo porta a non essere classificabile in alcuna categoria precostituita, ma a muoversi liberamente nei linguaggi, in nome di un coraggio che è resiliente capacità di pensare forme e materiali in modo spregiudicato e contaminante: al punto da cercare di trasformare l’icona della frattura e della ferita, la crepa, in immagine di armonia e di rigenerazione.
La mostra è sostenuta dalla Galleria Mazzoleni, London-Torino che rappresenta il lavoro dell’artista