DI FRANCESCO PATERLINI
ALLESTIMENTO DI ASSOCIATES ARCHITECTURE
TESTO CRITICO DI CARLOTTA CLERICI
INTERVENTO SONORO DI OLMO CHITTÒ
VIDEO DI STEFANO DI CORATO
28 OTTOBRE - 26 NOVEMBRE 2022
Che si trattasse di templi votivi per assicurarsi la benevolenza degli dei o di megalitiche sepolture corredate di ricchezze per una miglior vita ultraterrena, furono l’incertezza del futuro e la paura della morte a muovere i nostri antenati nel confrontarsi con imprese monumentali. L’uomo ha fatto della pietra la sua casa, della grotta il suo tempio e della terra la sua tomba: il sottosuolo è stato riparo, luogo di culto e di autocoscienza durante la vita; un accesso all’aldilà nel giorno della fine.
Questi sono gli ambienti d’ispirazione di Francesco Paterlini, che hanno risvegliato in lui la necessità di realizzarne una propria versione, una reinterpretazione che li porta più vicini al presente, soprattutto alla sua esperienza e alla sua storia personale. C’è un elemento che gioca un ruolo fondamentale in questo progetto e che accomuna tutte le costruzioni sopracitate: l’ingresso. Un imbocco, spesso dotato di scalinata, il quale, nella sua concezione originale, doveva avvicinarsi alla morfologia del sesso femminile, una soglia verso un ambiente familiare come il grembo materno, un luogo di riparo e protezione, ma anche di rinascita. Una scala, quindi, che ci attira e ci guida alla scoperta di una storia, forse lontanissima, forse non ancora stata: una via d’accesso al nostro io, al nostro passato, a premonizioni sul nostro futuro incerto ma che inevitabilmente ci attende.
Come calpestiamo quegli stessi gradini, che innumerevoli generazioni prima di noi hanno percorso per immergersi nella nostra storia, tra le acque vivificanti della nostra religiosità, in un processo a cavallo tra protezione e smarrimento, così, con la stessa incertezza e desiderio di scoperta, percorriamo la scala di Spazio Contemporanea, un tempio moderno dedicato all’ennesima manifestazione di autodeterminazione dell’uomo: l’arte. In un’oscurità senza stelle, attraversiamo le sale in un viaggio temporale, dove passato, presente e futuro si confondono facendo riemergere le nostre paure ancestrali. La ricerca di Paterlini conduce lo spettatore in un andirivieni sull’asse del tempo tra ispirazioni paleolitiche e suggestioni troglodite di mondi lontanissimi, i suoi tempietti reinterpretano il larario romano, l’edicola votiva volta alla tutela delle abitazioni e degli spazi pubblici, dimora dei numi protettori del nucleo familiare.
Carlotta Clerici
La temporalità del progetto viene espressa anche dalla scelta del materiale: la pietra calcarea, una pietra sedimentaria che nel corso della sua esistenza è stata (in questo ordine) organismo vivente, fondale marino e terra emersa. Questa soluzione definisce chiaramente il destino dei tempietti, i quali dovranno eventualmente consumarsi per tornare alle proprie origini. La materia si trasforma conservando i segni delle forze che la plasmano, dei muschi e dei licheni che la contaminano: l’intervento scultoreo dell’artista si inserisce nel ciclo di vita di questi blocchi litici contribuendo alla loro mutazione.
Dopo aver varcato le numerose soglie aperte sulla tenebra, l’ultima sala ci travolge con una luce asettica, che ci stordisce suscitando un inspiegabile senso di spaesamento. Nello spazio bianco si erge un grande tempio di argilla cruda, ha la sembianza della casa di sempre e possiamo fisicamente addentrarci nel suo buio. Siamo in un luogo che non risponde alle logiche comuni del tempo. Alla sua presenza sentiamo quello che è stato e vediamo quello che ancora deve essere: l’inevitabile fine di questo riparo, che da questo luogo potrà uscire solo attraverso la sua distruzione. Passato, presente e futuro coesistono e il paradigma del tempo si annulla per lasciarci un messaggio chiaro: nonostante le innumerevoli sovrastrutture che l’uomo si è costruito attorno, è finalmente all’interno delle viscere della terra, a stretto contatto con la natura, che riusciamo a ritrovare noi stessi.
Carlotta Clerici
Progettare l’allestimento della mostra Tempietti per lo scultore Francesco Paterlini richiede comprendere, innanzitutto, l’ambiguità delle sue opere. I Tempietti di Paterlini non si collocano in un tempo cronologico preciso, appartengono al contempo a presente, passato e futuro; instaurano un rapporto simultaneo con la contemporaneità e con la storia dell’arte, sono sospesi in un “tempo terzo” difficilmente definibile.
Il progetto di allestimento proposto interpreta la natura ambigua dei Tempietti attraverso un processo di non-azione, un allestimento intangibile definito dal dialogo tra luce e ombra, spazio e tempo in cui l’architettura, apparentemente, scompare.
Lo spazio fluido della galleria è ridefinito attraverso un percorso fatto di compressioni e decompressioni spaziali e temporali che definiscono due momenti principali dell’esposizione: il primo momento è caratterizzato da una serie di spazi concatenati, immersi nell’ombra, nei quali si è guidati dalla luce soffusa che illumina i Tempietti disposti secondo tre schemi relazionali: coppia (due opere-primo spazio), singolo (un’opera-secondo spazio) e moltitudine (otto opere-terzo spazio); il secondo momento, coincidente con l’ultima sala che ospita la grande installazione site-specific del tempio di argilla, inverte il rapporto tra luce e ombra. Qui lo spazio è inondato da una fastidiosa luce diffusa che illumina tutta la stanza generando una sensazione distopica opposta a quella provata nel resto dell’esposizione; piccoli tempietti di pietra che hanno accompagnato il percorso fino a qui, ora sono un grande tempio d’argilla in cui si può anche entrare: ogni certezza fisica e psichica è messa in discussione.
Associates Architecture /
Nicolò Galeazzi
Martina Salvaneschi